Lo sviluppo e il successo delle città dipendono sempre più dalla capacità di avviare processi di rigenerazione urbana, ma spesso mancano le risorse necessarie.
La due giorni dal titolo “Rigenerazione urbana e impatto sociale” promossa dalla Fondazione per l’architettura / Torino il 15 e il 16 marzo (partner scientifici: il Politecnico di Milano e il centro di ricerca Tiresia) proporrà nuovi modelli di intervento sul territorio attraverso lo sviluppo di una nuova generazione di imprenditorialità sociale e l’adozione di strumenti finanziari ibridi.
Secondo i dati del Centro Studi Sogeea, in Italia gli interventi di riqualificazione di aree dismesse e di rivitalizzazione di vuoti urbani valgono 328 miliardi di euro, cioè il 17% del PIL, e 4,8 miliardi solo a Torino.
La questione della produzione di valore è inevitabilmente centrale nell’avvio di questi processi, ma è sempre più diffusa la consapevolezza tra gli sviluppatori urbani che non sia sufficiente basarsi soltanto su asset di valore economico, ma sia necessario rivolgere l’attenzione anche agli aspetti sociali e alla creazione di comunità per garantire sul lungo periodo la tenuta del valore economico.
Ciò che forse è meno noto è la possibilità di applicare anche in questo campo le regole della finanza ad impatto sociale.
Secondo la definizione del Global Impact Investing Network (GIIN) si parla di finanza di impatto quando gli investimenti sono operati da fondi dedicati o da altri soggetti interessati al fine di generare un impatto sociale e ambientale in aggiunta a un ritorno finanziario.
Si tratta cioè di operazioni in cui oltre alla logica del profitto, si persegue l’obiettivo di generare ricadute concrete e misurabili sulla collettività. È un settore relativamente nuovo, ma che si caratterizza per un trend al rialzo: secondo un sondaggio di GIIN, è cresciuto del 16% in un anno, con un ampliamento degli ambiti di investimento.
In Italia, ci sono alcune esperienze di rigenerazione urbana sviluppate attraverso questi meccanismi: il fondo australiano Lendlease (tra i relatori invitati a Torino) ha avviato nel milanese un importante intervento sull’area dell’Expo investendo 2miliardi di euro con un approccio outcome-based, misurando cioè la profittabilità attraverso la qualità della vita delle persone che vivono e lavorano nell’area interessata.
Il coinvolgimento della comunità nel masterplan insieme a nuove forme imprenditoriali ad impatto sociale consentiranno, secondo gli investitori, la crescita e la tenuta sul lungo periodo del valore economico dei beni fisici in modo proporzionale alla crescita del valore sociale.
La presenza di una comunità coesa diventa quindi fattore di certezza per il rendimento e quindi di appetibilità per l’investimento.
È un approccio che potrebbe dare vita ad una nuova stagione di interventi su aree degradate, ma che richiede di ripensare le politiche territoriali, integrando progettazione sociale, sviluppo urbano e investimenti immobiliari, attraverso la cooperazione tra portatori di interesse e portatori di risorse.
“La rigenerazione urbana” sottolinea il presidente della Fondazione per l’architettura / Torino Alessandro Cimenti “è un tema centrale per chiunque operi nei contesti urbani e in particolare in una realtà come Torino dove sono ancora troppi i metri quadri di edifici in disuso risalenti al passato industriale. Trovare nuove modalità e processi innovativi per favorire la rinascita di questi luoghi, anche in assenza di risorse pubbliche, è fondamentale per garantire un futuro alle nostre città. Un futuro su cui gli architetti possono e devono dire la loro e per farlo hanno necessità di disporre degli strumenti necessari per anticipare i cambiamenti e prevedere le trasformazioni sociali.”
Torino ha tutte le carte in regole per diventare una città attrattiva, un laboratorio di sperimentazione delle “aziende ibride”, ossia quelle realtà che si collocano tra pubblico e privato, tra profit e no profit, tra individuale e collettivo, capaci di creare un impatto sociale misurabile. A Torino infatti si assiste alla compresenza di competenze scientifiche e tecnologiche sedimentate, di un settore industriale in simbiosi con la knowledge management, di enti del terzo settore che perseguono mission no-profit con strategie imprenditoriali e di un sistema finanziario rappresentato dalle principali Fondazioni di origini bancarie.
Questi sono i fattori che hanno spinto Mario Calderini, professore ordinario del Politecnico di Milano, direttore del centro di ricerca Tiresia e curatore dell’iniziativa della Fondazione per l’architettura, a promuovere a Torino il Torino Social Impact, una piattaforma aperta a tutti i soggetti che operano nell’area metropolitana torinese nel campo dell’innovazione sociale e della finanza a impatto sociale; un’alleanza tra imprese e istituzioni pubbliche e private per sperimentare una strategia di sviluppo dell’imprenditorialità ad elevato impatto sociale ed intensità tecnologica nell’area metropolitana torinese, con l’obiettivo di rafforzare l’ecosistema metropolitano e rappresentarlo e promuoverlo a livello internazionale.
L’iniziativa della Fondazione è parte di un programma di attività di alta specializzazione, rivolto agli architetti e a tutti coloro che operano in ambito urbano, paesaggistico e che si interfacciano in diverso modo con l’architettura.
“Spesso” prosegue Alessandro Cimenti “sottovalutiamo le ripercussioni che i grandi cambiamenti della nostra era esercitano nella sfera lavorativa, e non parliamo solo degli architetti. Cambia il clima, cambia la società, cambia la cultura e cambia la tecnologia; è possibile prepararsi con anticipo a queste continue trasformazioni senza limitarsi a subirle? Per decidere che direzione dare allo sviluppo delle nostre città è necessario conoscere in modo più approfondito questi processi”.
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