La sentenza 4728/2017 del 12 ottobre ha stravolto quello che per i progettisti, e non solo, era ormai prassi consolidata in materia di distanza tra edifici.
Con questo provvedimento, infatti, il Consiglio di Stato fa decadere l’univocità del rispetto delle distanze minime promulgate dalla norma in favore di una “opinabilità”, strettamente connessa con il modo in cui viene realizzata la costruzione.
Il Consiglio di Stato sostiene che negli interventi di demolizione e ricostruzione non sempre si devono rispettare le distanze minime tra edifici, così come stabilito nel DM 1444 del 1968.
Va valutato, di volta in volta, il modo con cui la ricostruzione avviene.
Per questo motivo è stato ridefinito ed esplicitato il concetto di demolizione e ricostruzione, specificando che se si entra nel campo della ristrutturazione, ossia solo se viene rispettata la medesima volumetria di quanto demolito insistente sulla stessa area di sedime, le distanze non vanno rispettate.
Le distanze minime tra edifici
Le uniche variazioni sono consentite per attuare le disposizioni stabilite dalla vigente normativa antisismica.
Pertanto si possono realizzare nuovi edifici, collocati anche esternamente all’originaria area di sedime e con una sagoma modificata, purché non ci si trovi in zone vincolate.
Da queste premesse, pur mantenendo la stessa volumetria, la demolizione e ricostruzione la si considera una ristrutturazione edilizia ed in questo caso il modo con cui si realizza la nuova costruzione condiziona il rispetto delle distanze minime inderogabili tra edifici.
Come anche specificato dal Consigli di Stato, soltanto le nuove costruzioni devono rispettare le distanze previste dal DM 1444/68.
Per tutti quegli edifici esistenti che invece si trovano a distanze minori dei famosi 10 metri, in caso di demolizione di uno questi lo si può ricostruire alla distanza in cui si trovava originariamente.
La spiegazione a tutto ciò viene data considerando che, se l’edificio dovesse arretrare per raggiungere i 10 metri di distanza, ci sarebbe una diminuzione di volume coatta, una sorta di esproprio indebito.
Questa situazione prevede che l’edificio venga ricostruito esattamente sulla stessa area di sedime e mantenendo egual sagoma.
Solo così non andranno considerate le norme distanziali in genere, né riconducibili al Decreto Ministeriale né ad altre normative urbanistico-territoriali.
Al contrario, modificando la connotazione dell’edificio demolito, in quanto spostato e modificato nel volume, trovandosi di fronte ad una nuova costruzione sarà obbligatorio attenersi alle disposizioni normative in materia di distanza tra edifici, considerando anche che la sentenza 5557/2013 stabilisce che “la distanza di 10 metri tra pareti finestrate di edifici antistanti prevista dal D.M. 1444/1968 va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale”.
02 Dicembre 2017 – Riproduzione riservata