Un estremo omaggio alla First Lady dell’architettura contemporanea, Zaha Hadid, che il 31 marzo scorso si è spenta per un arresto cardiaco in un ospedale di Miami dove era in cura per una sospetta bronchite.
Aveva 65 anni, 44 dei quali spesi al servizio dell’architettura.
La sua ricerca progettuale l’ha portata nel tempo a coniare linguaggi sempre più personali, caratteristica emblematica del proprio percorso compositivo.
Nata a Baghdad, ma naturalizzata londinese, ha portato con sé le forme sinuose dell’architettura e della tradizione araba riuscendo a fonderle al rigore delle architetture inglesi.
Il suo linguaggio, ormai assolutamente riconoscibile, è fatto di forme plastiche e scivolate, tali da produrre strutture organiche, quasi viventi e avvolgenti.
L’architetto, grazie al suo ingegno ed alla sua forte creatività, è riuscita con il proprio lavoro, a far avvicinare all’architettura chi, nel tempo, ne fosse rimasto lontano.
Le produzioni architettoniche stupiscono e per questo si lasciano conoscere.
Attiva in tutto il mondo ha lasciato una grande eredità anche da noi in Italia.
Il museo Maxxi a Roma è l’esempio italiano più rappresentativo della ricerca architettonica dell’Archistar londinese.
Nel museo romano si legge tutta la sua ricerca spaziale legata alla compenetrazione dei volumi, in un solido rapporto tra pieno e vuoto.
Ma possiamo citare anche la produzione milanese, legata al progetto City Life, in seno alla manifestazione di Expo del 2015, o la progettazione della stazione ferroviaria di Afragola, in provincia di Napoli, risalente al 2004.
Le sue opere, a tratti rigide, a volte morbide ed avvolgenti, organiche e complesse, apparentemente caotiche, fatte di piani sfalsati, compenetranti e inclinati ne hanno da sempre caratterizzato la produzione architettonica.
Un movimento continuo, come a far vivere quell’architettura che, altrimenti, rimarrebbe statica e ferma su se stessa.
Le grandi vetrate che contraddistinguono i suoi progetti lasciano intravedere anche la personalità dell’architetto: la luce come elemento fondante, la luce quale elemento imprescindibile per leggere e capire gli spazi e, di conseguenza, le architetture.
Da sempre la sua capacità compositiva è stata apprezzata e riconosciuta a livello mondiale fino a procurarle il Premio più ambito in ambito architettonico e cioè il Premio Pritzker, attribuitole nel 2004.
A seguire, molteplici sono stati i riconoscimenti come ad esempio l’essere diventata un membro del Consiglio Editoriale dell’Enciclopedia Britannica o l’essere stata insignita con laurea honoris causa dall’Unversità americana a Beirut.
E ancora nel 2008 la rivista americana Forbes la inserisce tra le cento donne più potenti del pianeta.
Nel 2010 ha vinto il Premio Stirling per il museo Maxxi a Roma e, nel 2011, per la realizzazione della Evelyn Grace Academy a Londra.
Ma forse il riconoscimento più gratificante è arrivato proprio quest’anno, appena il 3 febbraio scorso.
Le è stata consegnata la Riba Royal Medal, riconoscimento che per la prima volta viene assegnato ad una donna.
Sir Peter Cook, noto architetto britannico, conferendole il premio, l’ha definita “una personalità straordinaria, spavalda e sempre vigile, un’eroina” e, continuando “ se Paul Klee ha passeggiato lungo una linea, Zaha Hadid ha trascinato le superfici scaturite da quella linea in una danza virtuale, poi le ha abilmente ripiegate su se stesse, portandole in viaggio nello spazio”.
Un omaggio quindi, un ricordo incredulo al grande impegno e alla grande eredità lasciata a noi tutti.
L’estremo saluto a chi, come Zaha Hadid, ha avuto la fortuna di tradurre in “vera architettura” semplici esigenze di vita.
In copertina immagini tratte da http://www.zaha-hadid.com/
02 Aprile 2016