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VICINI VICINI. QUANDO LE PARETI PARLANO e SENTONO

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Entrando in un antico borgo, tra vecchi edifici e viuzze strette e tortuose, la prima cosa che si nota è la distanza ‘ravvicinata’ delle case.

Ai nostri occhi il quadro si presenta senza dubbio come pittoresco, un’immagine uscita da una realtà lontana nel tempo, quasi avvolta dalla leggenda.

Ma osservando bene le case degli antichi borghi, quasi ‘ascoltando’ l’eco che viene da tempi così lontani, ci si rende conto che la base su cui poggia una simile realtà urbana è tutt’altro che fiabesca.

Si tratta infatti di ampie zone in cui, dall’età medievale fino all’Ottocento, si insediavano o meglio si ammassavano le folle, la ‘plebe’, spesso in ambienti non proprio salubri.

Era un paesaggio disegnato dall’alta densità demografica e da una situazione di povertà.

Camminando negli ambienti che ai nostri occhi appaiono tanto caratteristici, risuona l’attività di una massa lavoratrice, ‘proletaria’, organizzata in ‘corporazioni’.

E sembra quasi che la struttura del borgo ‘ricalchi’ proprio l’idea corporativa dell’epoca.

La vicinanza nell’appartenenza ad un mestiere, ad una contrada, la stessa identità popolare, assumono la forma plastica dell’agglomerato cittadino.

Le distanze da percorrere sono brevi, da casa alla bottega, dalle abitazioni agli spacci di alimentari.

E’ un universo racchiuso tra piccole strade, dove non manca niente, vista anche la difficoltà a percorrere lunghe distanze con i mezzi di trasporto a disposizione: carretti, cavalli, muli, etc.

A tratti sembra anche di sentire le voci delle dirimpettaie che si chiamano tra loro.

Tutti aiutano tutti, perché l’ unica risorsa a disposizione per risolvere i problemi quotidiani è il contatto con il vicino: niente telefono, niente internet, nessuna delle comodità dei nostri tempi.

È proprio il caso di dire che la necessità ha fatto la virtù che ancora si respira negli antichi borghi.

In giro tra i vicoli per accorciare le distanze

Torniamo ora al nostro visitatore. Girovagando per i vicoli, rimane incantato dagli edifici, dai colori, dalle stradine, cose che nelle città moderne non si incontrano. Ma quella realtà è finita lì con gli antichi borghi?

O forse ha perso il colore e le atmosfere dei secoli più lontani ed ha assunto altre sembianze in tempi un po’ più recenti?

La vicinanza come risorsa, l’appartenenza alla stessa classe sociale si ritrovano nella realtà urbana della prima metà del Novecento.

La condivisione degli spazi tra varie famiglie, dettata dalla povertà e quindi dall’impossibilità di acquistare una casa propria, la costruzione di ‘casermoni’ per trovare un alloggio agli sfollati a causa della guerra o per altre circostanze sfortunate.

Tutte realtà che appartengono al secolo scorso  che anche ai nostri tempi a volte si riaffacciano: basta pensare al complesso del Corviale.

Si tratta di un’estensione chilometrica di cemento che contiene piccoli appartamenti, uno di fianco all’altro destinati alle famiglie che vivono il dramma dell’emergenza abitativa.

Chi è nelle condizioni di scegliere, oggi ‘fortifica’ la propria abitazione con tutti i comfort che possono garantire un certo livello di privacy. Innanzitutto le distanze minime tra un edificio e l’altro, regolate dal Codice Civile.

E poi un adeguato isolamento acustico, le tecnologie più avanzate per rendere la casa ‘intelligente’ e quindi gestibile anche a distanza.

E ancora il telesoccorso per non dover ricorrere ai vicini in caso di emergenza, la possibilità di controllare i sistemi di sicurezza in ogni momento.

Insomma, a pensarci bene il nostro visitatore moderno non vivrebbe a proprio agio nelle distanze ravvicinate degli antichi borghi, o sì?

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